lunedì 4 febbraio 2013

L'Analisi del Lunedì dei Mercati Finanziari- 4 febbraio 2013


Carissimi,

la percezione che il mercato azionario abbia un trend rialzista si sta diffondendo. Alla metà di dicembre 2012 avevo scritto: “la prossima settimana potrebbe essere l’ultima di relativa debolezza o la prima di un potente ciclo ascendente che si manifesterà nel corso del 2013 e oltre”. E infatti i mercati azionari mondiali hanno registrato forse il miglior gennaio degli ultimi vent’anni e l’SP venerdì scorso ad un certo momento ha toccato 1511, non lontano dal massimo assoluto di 1576 del 10 ottobre 2007. Senza più voler approfondire le ragioni di questa tendenza rialzista che abbiamo tante volte illustrato in questa sede e che ci hanno fatto esprimere un segnale rialzista già dall’inizio di ottobre 2011 (quando l’SP era sceso a 1070), ora il problema per l’investitore è se acquistare titoli value o titoli growth. I primi, come noto, sono titoli di società solide in tangible assets e non soggette a grandi esplosioni dei profitti, tipo Coca-Cola, Altria, Johnson&Johnson, Procter&Gamble, ecc. Questi titoli vanno acquistati in periodi negativi di borsa puntando sul loro valore intrinseco e sul dividendo stabile. I titoli growth sono quelli delle società più cicliche, con scarse tangible assets, ma grandi prospettive di aumentare il fatturato e i profitti tipo Google, Microsoft o la stessa Apple. Nella seconda metà degli anni Novanta, al tempo della bolla speculativa dell’ High-tech, le azioni value erano trascurate. Interessavano solo azioni growth della new economy. Poi venne la rottura della bolla (dal settembre 2000 al marzo 2003) e le azioni value furono di nuovo apprezzate. La nuova crisi borsistica iniziata alla fine del 2007 e proseguita fino a marzo 2009 (negli Stati Uniti) e a luglio 2012 (in Europa, Giappone e paesi emergenti, Cina compresa) ha causato un crollo generale dei prezzi delle azioni. Nessuno si è salvato, neanche i titoli value. Così queste società solide, con buoni assets e ottimi fondamentali da quando si ha avuta una ripresa generalizzata dei prezzi hanno ripreso ad essere molto interessanti anche perché i loro prezzi sono molto bassi. In Europa si calcola che questi titoli siano più a buon mercato per quasi il 50% rispetto ai titoli growth. Energia, finanza, telecomunicazioni e utilities sono i settori più tipici delle società value.

Se però, anche in base all’insegnamento di alcuni maestri dell’investimento, si può in parte contestare questa suddivisione, allora la cosa migliore, a mio avviso, è acquistare indifferentemente titoli value e growth o meglio ancora investire in ETF espressivi dell’intero mercato.

Per quanto riguarda il mercato valutario cominciano per me le dolenti note. Infatti, per una serie di motivi non avevo certo previsto un rialzo così consistente dell’euro contro dollaro. È vero che sono stato fra i primi a sottolineare l’importanza della svolta del luglio 2012, quando fu chiaro che l’Europa aveva deciso, per bocca di Draghi, di salvare l’euro. Il cambiamento, che ho sottolineato con forza, è stato il passaggio dal possibile intervento di un Fondo Salvastati, dalle risorse magari grandi, ma limitate, ad un intervento potenzialmente illimitato (“whatever it takes”) della BCE. Ma il mio ragionamento era ed è quello che, proprio per poter salvare l’euro, occorreva un euro debole che desse slancio all’unica componente della domanda globale su cui puntare: l’esportazione.

Non è stato così. L’euro è salito da 1,2060 di luglio a 1,37 (chiudendo a 1,3644) di venerdì scorso. Sto quindi avendo torto? Sembrerebbe proprio di sì. Il mio modellino che si basa invece sul dollar index, mi dice che non mi sto sbagliando e che il dollar index (che è composto per il 56% dall’euro, ma che comprende anche yen, sterlina, dollaro canadese e franco svizzero) è alla vigilia di un grande rialzo che si estrinsecherà già da marzo prossimo. Con il dollar index al rialzo, è possibile che l’euro, che pesa così tanto in questo paniere, sia forte?

L’oro sta attraversando un periodo in cui è senza infamia e senza lode, così come molte altre materie prime. Le banche internazionali si stanno innervosendo e avvertono i loro clienti che il rialzo, che ha portato il metallo giallo da 250 dollari l’oncia nel 2001 a 1920 nel settembre 2011, è finito. Io non credo che sia così. L’oro andrà bene nel complesso finchè le banche centrali emetteranno fiat money e cioè per sempre. L’oro è il competitor della fiat money, è disciplina, ortodossia monetaria. Sta attraversando una fase non positiva, ma dichiarare che il bull market dell’oro è finito come fa il Credito Svizzero è un grave errore. La Banca d’Inghilterra non ha forse venduto la gran parte delle sue riserve auree a 255 dollari l’oncia nel 2001? Ecco un esempio di timing disastroso da parte di un’istituzione superprestigiosa. Forse più del Credito Svizzero.

Il petrolio continua a salire di prezzo, nonostante la domanda in contrazione. Tempi brutti in Medioriente?

Cari saluti
Francesco Arcucci
 
 
 
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