Carissimi,
la percezione che il mercato
azionario abbia un trend rialzista si sta diffondendo. Alla metà di dicembre
2012 avevo scritto: “la prossima settimana potrebbe essere l’ultima di relativa
debolezza o la prima di un potente ciclo ascendente che si manifesterà nel
corso del 2013 e oltre”. E infatti i mercati azionari mondiali hanno registrato
forse il miglior gennaio degli ultimi vent’anni e l’SP venerdì scorso ad un
certo momento ha toccato 1511, non lontano dal massimo assoluto di 1576 del 10
ottobre 2007. Senza più voler approfondire le ragioni di questa tendenza
rialzista che abbiamo tante volte illustrato in questa sede e che ci hanno
fatto esprimere un segnale rialzista già dall’inizio di ottobre 2011 (quando
l’SP era sceso a 1070), ora il problema per l’investitore è se acquistare
titoli value o titoli growth. I primi, come noto, sono titoli di società solide
in tangible assets e non soggette a grandi esplosioni dei profitti, tipo
Coca-Cola, Altria, Johnson&Johnson, Procter&Gamble, ecc. Questi titoli
vanno acquistati in periodi negativi di borsa puntando sul loro valore
intrinseco e sul dividendo stabile. I titoli growth sono quelli delle società
più cicliche, con scarse tangible assets, ma grandi prospettive di aumentare il
fatturato e i profitti tipo Google, Microsoft o la stessa Apple. Nella seconda
metà degli anni Novanta, al tempo della bolla speculativa dell’ High-tech, le azioni
value erano trascurate. Interessavano solo azioni growth della new economy. Poi
venne la rottura della bolla (dal settembre 2000 al marzo 2003) e le azioni
value furono di nuovo apprezzate. La nuova crisi borsistica iniziata alla fine
del 2007 e proseguita fino a marzo 2009 (negli Stati Uniti) e a luglio 2012 (in
Europa, Giappone e paesi emergenti, Cina compresa) ha causato un crollo
generale dei prezzi delle azioni. Nessuno si è salvato, neanche i titoli value.
Così queste società solide, con buoni assets e ottimi fondamentali da quando si
ha avuta una ripresa generalizzata dei prezzi hanno ripreso ad essere molto
interessanti anche perché i loro prezzi sono molto bassi. In Europa si calcola
che questi titoli siano più a buon mercato per quasi il 50% rispetto ai titoli
growth. Energia, finanza, telecomunicazioni e utilities sono i settori più
tipici delle società value.
Se però, anche in base
all’insegnamento di alcuni maestri dell’investimento, si può in parte
contestare questa suddivisione, allora la cosa migliore, a mio avviso, è
acquistare indifferentemente titoli value e growth o meglio ancora investire in
ETF espressivi dell’intero mercato.
Per quanto riguarda il mercato
valutario cominciano per me le dolenti note. Infatti, per una serie di motivi
non avevo certo previsto un rialzo così consistente dell’euro contro dollaro. È
vero che sono stato fra i primi a sottolineare l’importanza della svolta del
luglio 2012, quando fu chiaro che l’Europa aveva deciso, per bocca di Draghi,
di salvare l’euro. Il cambiamento, che ho sottolineato con forza, è stato il
passaggio dal possibile intervento di un Fondo Salvastati, dalle risorse magari
grandi, ma limitate, ad un intervento potenzialmente illimitato (“whatever it
takes”) della BCE. Ma il mio ragionamento era ed è quello che, proprio per
poter salvare l’euro, occorreva un euro debole che desse slancio all’unica
componente della domanda globale su cui puntare: l’esportazione.
Non è stato così. L’euro è salito
da 1,2060 di luglio a 1,37 (chiudendo a 1,3644) di venerdì scorso. Sto quindi
avendo torto? Sembrerebbe proprio di sì. Il mio modellino che si basa invece
sul dollar index, mi dice che non mi sto sbagliando e che il dollar index (che
è composto per il 56% dall’euro, ma che comprende anche yen, sterlina, dollaro
canadese e franco svizzero) è alla vigilia di un grande rialzo che si
estrinsecherà già da marzo prossimo. Con il dollar index al rialzo, è possibile
che l’euro, che pesa così tanto in questo paniere, sia forte?
L’oro sta attraversando un
periodo in cui è senza infamia e senza lode, così come molte altre materie
prime. Le banche internazionali si stanno innervosendo e avvertono i loro
clienti che il rialzo, che ha portato il metallo giallo da 250 dollari l’oncia
nel 2001 a 1920 nel settembre 2011, è finito. Io non credo che sia così. L’oro
andrà bene nel complesso finchè le banche centrali emetteranno fiat money e
cioè per sempre. L’oro è il competitor della fiat money, è disciplina,
ortodossia monetaria. Sta attraversando una fase non positiva, ma dichiarare
che il bull market dell’oro è finito come fa il Credito Svizzero è un grave
errore. La Banca d’Inghilterra non ha forse venduto la gran parte delle sue
riserve auree a 255 dollari l’oncia nel 2001? Ecco un esempio di timing
disastroso da parte di un’istituzione superprestigiosa. Forse più del Credito
Svizzero.
Il petrolio continua a salire di
prezzo, nonostante la domanda in contrazione. Tempi brutti in Medioriente?
Cari saluti
Francesco Arcucci
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