Carissimi,
in un mondo di banche centrali che possono non solo
manovrare i tassi di interesse a breve, ma possono acquistare liberamente
titoli pubblici, agendo da acquirenti che saldano la differenza fra acquisti e
vendite sul mercato, per aumentare la massa monetaria, la BCE rischia di
trovarsi per la seconda volta a mal partito. Un anno fa si trattava per la BCE,
di crearsi uno spazio di manovra per intervenire a favore della solvibilità
delle pubbliche amministrazioni dei Paesi deboli di Eurolandia. E alla fine Draghi,
nonostante le obiezioni della Deutsche Bundesbank ce l’ha fatta a dire
l’espressione magica: che l’euro sarebbe stato difeso “whatever it takes”. Oggi
il problema è meno pressante, ma più insidioso. La Fed e la Bank of Japan
stanno acquistando aggressivamente titoli pubblici, perché in tal modo pensano
di espandere la base monetaria (cioè il loro bilancio) e la massa monetaria
(biglietti e depositi) per dare fiato all’economia, e, nel caso giapponese,
all’inflazione e, nel caso americano, all’occupazione. L’effetto è stato
negativo per l’Europa, che ha visto rafforzarsi l’Euro contro dollaro e yen.
Ciò in un momento in cui l’Europa ha bisogno di un euro debole per rilanciare
le esportazioni, in presenza di consumi e investimenti in netta contrazione. Il
risultato è un ulteriore indebolimento del livello dell’attività produttiva in
Italia e Spagna, ma anche in Francia e Germania. Io non ho dubbi che le forze
di mercato faranno indebolire l’euro, ma condanno la spregiudicatezza delle
altre banche centrali che approfittano dei vincoli della BCE per scaricare su
di noi i loro problemi. Non è certo un bell’esempio di cooperazione
internazionale fra banche centrali. Ecco perché la moneta unica europea, dopo
una flessione da 1.37 a 1.33, fa fatica a indebolirsi oltre, mentre il
dollar/index si sta rafforzando come previsto a causa dell’ulteriore debolezza
dello yen e della sterlina britannica.
Per quanto riguarda i mercati azionari è continuato, seppur
lentamente, il rialzo a New York, Londra, Tokyo e Shangai, mentre le piazze
europee si sono indebolite. Ma con riferimento alla Big Picture il mercato
rimane al rialzo, e c’è da osservare che, oltre alle tante ragioni già
menzionate (errato posizionamento al ribasso degli investitori, bassi prezzi
delle azioni in termini di P/E e dividend yield rispetto ai tassi dei titoli di
Stato, buona salute del settore di imprese sotto il profilo della posizione
finanziaria netta eccetera, eccetera) vi è da menzionare il rapporto fra il
ciclo delle commodities e quello dei mercati azionari. A commodities che
salgono di prezzo, come nel decennio 1970 e nel decennio 2000, si associano
borse piatte o in discesa. A commodities che scendono di prezzo, come nei
decenni 1950, 1980, 1990, si associano rialzi delle azioni. La probabile fine
del ciclo di rialzo del decennio 2000 è un’altra delle tante ragioni per cui i
prezzi delle azioni, al di là dei movimenti di breve periodo, sono destinati a
mio avviso a salire nettamente per alcuni anni.
Cari saluti,
Francesco Arcucci
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